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Il diritto di opinione e Facebook: due mondi spesso in conflitto

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Il diritto di opinione e Facebook: due mondi spesso in conflitto

Una critica un po’ generica postata sul proprio profilo Facebook e l’azienda per cui lavorava prima l’ha sospesa e poi licenziata, nonostante l’azienda stessa non fosse neppure citata. Il recente caso di Daniela Ciampa, la 38enne ligure licenziata (stessa sorte anche per un’altra collega) per aver espresso un commento sulla mensa scolastica è arrivato fino al parlamento e al governo italiano, ma al di là delle varie e possibili strumentalizzazioni apre nuovamente una riflessione sull’uso dei social network e il rapporto con il proprio lavoro.

In realtà i primi casi di licenziamenti dovuti all’utilizzo di Facebook in ufficio o comunque attinenti all’uso del noto social network in Italia hanno cominciato a verificarsi quasi un lustro fa, intorno al 2011.

Nato da un’intuizione in parte presa anche da altri, Facebook è diventato il social network per eccellenza e il suo fondatore, Mark Zuckerberg, oltre a essere uno degli uomini più ricchi del pianeta, proprio sul suo profilo su “FB” parla del social network come di una “community”, cioè una comunità. E all’interno di una comunità, quindi, pur con tutti i continui aggiornamenti di procedure e funzioni legate alla privacy, resta il fatto che si è come all’interno di una piazza virtuale dove quello che viene scritto o postato che sia un file audio, una foto o un video, può in teoria raggiungere anche le persone più lontane del globo basta che chi vi abbia accesso le condivida.

E non sempre si può dire tutto di tutti, anzi. Il paradosso di oggi è che mentre il diritto alla tutela dei dati personali è un diritto sempre più forte. Il crescente utilizzo di portali e strumenti elettronici produce esponenzialmente la diffusione di dati relativi agli utenti.

L’esercito americano, per esempio, da tempo ha dettato regole molto strette e ferree ai propri militari dato che a volte proprio dal semplice loggarsi sul noto social network è possibile rivelare la propria posizione.

Molti manager hanno chiuso o sospeso il proprio profilo personale o altri non ne hanno affatto.

Le aziende moderne, al momento dell’assunzione utilizzano Facebook per una ulteriore conoscenza di chi si accingono ad assumere anche avvalendosi di consulenti informatici.

Tra i sostenitori della libertà assoluta di pensiero, c’è chi invoca anche per Facebook il diritto alla libertà di critica, sancito da carte internazionali e costituzionali di quasi tutti i paesi. È bene precisare poiché il diritto di opinione non è mai assoluto, perché varia in funzione della professione e dell’oggetto della critica (personaggio pubblico o cittadino privato).

Ad un giornalista per esempio, è concesso uno spazio d’azione molto più ampio, rispetto a un altro cittadino proprio perché la sua professione impone l’analisi e la verifica delle informazioni prima della pubblicazione, oltre ovviamente alla continenza e alla veridicità dei fatti raccontati.

Infine c’è da tenere presente che non solo l’utilizzo di strumenti informatici e applicazioni sui luoghi di lavoro può essere oggetto di limitazioni o divieti e quindi causa di provvedimenti disciplinari o di licenziamento. E il licenziamento potrebbe non essere comunque la peggiore sorte, perché in base a quanto postato si potrebbe incorrere anche in cause per diffamazione che si svolgerebbero nelle aule penali.

In conclusione, i moderni social network sono come un amplificatore dei nostri pensieri e delle nostre opinioni. Fatene buon uso, perché tutti possono sentirvi.

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