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Voluntary disclosure: come comportarsi in caso di Trust

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Voluntary disclosure: come comportarsi in caso di Trust

Secondo la normativa internazionale, il trust è definito in base al paradigma che segue:

a)     i beni in trust costituiscono una massa distinta e non sono parte del patrimonio del trustee;

b)     i beni in trust sono intestati al trustee o ad un’altra persona per conto del trustee;

c)      il trustee è investito del potere ed onerato dell’obbligo (di cui deve rendere conto), di amministrare, gestire o disporre dei beni in conformità alle disposizioni del trust e secondo le norme imposte dalla legge al trustee.

In Italia, ai fini delle imposte dirette il trust è individuato quale soggetto passivo dell’imposta sul reddito delle società (IRES). Il legislatore fiscale, in funzione della flessibilità dell’istituto, ha individuato due principali tipologie di trust:

  • trust con beneficiari individuati (trust trasparenti), i cui redditi vengono imputati per trasparenza ai beneficiari stessi come redditi di capitale;
  • trust senza beneficiari individuati (trust opachi), i cui redditi vengono tassati direttamente in capo al trust;

I trust istituiti e gestiti al fine di realizzare una mera interposizione nel possesso dei beni e dei relativi redditi (trust interposti), non sono considerati validamente operanti; è il  caso, ad esempio, dei trust nei quali l’attività del trustee, sotto il profilo sostanziale, risulti soggetta alle istruzioni vincolanti riconducibili al disponente o ai beneficiari, che di fatto così mantengono l’effettiva disponibilità del patrimonio conferito nel trust, con la conseguente diretta imputabilità dei redditi al disponente, se vivente, o ai beneficiari.

In tal caso, sono questi ultimi i soggetti obbligati al rispetto degli adempimenti connessi al monitoraggio fiscale che, pertanto, possono ricorrere alla voluntary disclosure.

L’ordinamento vigente riconduce i trust tra i soggetti passivi IRES; essi, pertanto, si considerano residente nel territorio dello Stato quando, per la maggior parte del periodo di imposta, risulti integrato almeno uno dei seguenti criteri di collegamento:

– sede legale nel territorio dello Stato;

– sede dell’amministrazione nel territorio dello Stato;

– oggetto principale dell’attività svolta nel territorio dello Stato.

Con particolare riferimento all’ultimo parametro (oggetto dell’attività), in ambito internazionale (OCSE) si fa riferimento al luogo ove è esercitata l’attività principale (place of effective management); tale luogo non deve essere necessariamente coincidente con quello in cui si trovano i beni principali posseduti dalla persona giuridica, dovendosi avere riguardo alle caratteristiche dell’attività svolta e alla natura dei beni posseduti, al fine di verificare se il loro utilizzo, ai fini dello svolgimento dell’attività dell’ente, richieda o meno una presenza in loco.

In particolare, secondo l’Agenzia delle Entrate, il trust si considera residente in Italia:

(i)        ove il patrimonio conferito nel trust sia costituito da immobili situati interamente in Italia, esso è considerato ivi residente;

(ii)       ove, invece, i beni immobili sono situati  in  Stati diversi occorre fare riferimento al criterio della prevalenza.

Nel caso in cui il patrimonio del trust sia di natura mobiliare o mista l’oggetto dovrà essere  identificato   con l’attività essenziale per realizzare direttamente gli scopi primari indicati dalla legge, dall’atto costitutivo o dallo statuto. In particolare, nel caso in cui il trust si limiti a detenere partecipazioni di controllo e/o di collegamento in Italia senza effettuare all’estero alcuna attività di direzione e coordinamento per l’Amministrazione finanziaria maggiori sono le possibilità di contestazione del cosiddetto fenomeno dell’ “estero vestizione”, attraendo in Italia la residenza fiscale di un trust, ancorché formalmente estero, quando il suo patrimonio è costituito esclusivamente o, quanto meno prevalentemente, da partecipazioni in società operative residenti anche se possedute in via indiretta.

L’ordinamento tributario, con la finalità antielusiva di contrastare  possibili  fenomeni  di  fittizia  localizzazione   dei trust all’estero, detta una presunzione relativa (in quanto è fatta salva la prova contraria) di residenza fiscale dei trust. Infatti, si considerano residenti nel territorio dello Stato i trust che seguono, istituiti in Paesi che non consentono lo scambio di informazioni:

a)        i trust con beneficiario individuato quando almeno uno dei disponenti ed almeno uno dei beneficiari siano  fiscalmente  residenti  nel  territorio dello Stato;

b)        ove, successivamente alla costituzione,  un  soggetto  residente  trasferisca  a favore del trust (i)  la proprietà  di  un  bene  immobile sito in Italia, o  di  diritti  reali immobiliari connessi a beni siti in Italia,  ovvero  (ii) costituisca  a  favore  dello stesso dei   vincoli   di destinazione sugli stessi beni e diritti. In tali casi, è proprio l’ubicazione degli immobili in Italia che crea il collegamento territoriale e giustifica la residenza in Italia del trust.

Una volta attribuita al trust la residenza fiscale in Italia, egli si qualifica come soggetto passivo ai fini del monitoraggio fiscale; pertanto e quindi risulta titolato ad accedere alla procedura di voluntary disclosure.

Daniele Majorana

Leggi anche gli altri articoli sulla voluntay disclosure pubblicati sulla pagina dedicata della Carlo Biagioli Srl.

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